Oscillando fra dies irae e lux aeterna

E dunque no, dunque non erano ancora finiti i giorni dei morti di questo orribile novembre — “è novembre  il mese più crudele”.
All’improvviso, nella notte, sette luoghi di Parigi sono esplosi — sette chakra della notte occidentale — e la loro esplosione ha portato sangue, grida e orrore fino qui, a Milano, fino alla stanza di Nina, fino al santuario (già sconvolto) del suo cuore:
«almeno 129 i morti e oltre 300 feriti di cui alcuni gravissimi».
Di solito Nina abbassa lo sguardo davanti a morti come queste: non per viltà, ma per una forma di rispetto; e, soprattutto, per orrore del momento (inevitabile) in cui televisioni e media superano il confine dove sta l’informazione per entrare nella selva oscena della pornografia della morte — quando cioè li uccidono di nuovo, dandoli in pasto al pubblico come una televendita o un talent. Ma questa volta, davanti alle ferite di Parigi, Nina ha reagito diversamente: come per l’11 settembre,  si è lasciata ossessionare dal desiderio di sapere tutto di quegli attentati, ogni dettaglio di quelle 129 morti. Fino quando, ieri, ha varcato l’estrema soglia — è entrata in una galleria di Repubblica, in cui erano esposti i loro volti e le loro storie: Valeria, Madeleine, Baptiste, Nicolas, Quentin, Emmanuel … li ha guardati uno ad uno … Jean-Jacques, Raphael, Sebastien, Pierre-Yves e Anne … ha sbirciato nelle loro vite …  Estelle, Ariane, Chloe … ha intravvisto le loro carezze ai figli … Ludovic, Cédric, Christophe … le fedi all’anulare … Alban, Romain, Bertrand, Hélène … le loro chitarre, i giardini delle loro case, i tweet dei compagni di squadra  … Renaud, Guillaume, Hugo … ma soprattutto i loro sguardi luminosi, i loro sorrisi. Dio mio, come erano tutti giovani, com’erano tutti belli, come apparivano tutti lanciati verso degli obbiettivi. Come erano, insomma, tutti come Nina — quanti musicisti! — oppure sì, come lui.
E allora, per quanto tempo se ne era rimasta così, pallida e immobile davanti allo schermo? Guardando le foto di chi ormai era solo un fantasma, si sentiva dentro le lacrime di una musica solenne: un requiem di guerra — perché come altro bisognava chiamare, ormai, la follia omicida di quegli attentati? E quella musica oscillava, povera Nina, perché ogni tanto aveva la forma tremenda del “dies irae” — come le voci di tutti quelli che gridavano: “Vendetta!” o “Bombardate i maledetti”, invocando altro sangue per lavare il sangue già versato:

 

Ogni tanto invece aveva il suono mesto del perdono, povera Nina — una melodia capace di avvolgere in “lux aeterna” sia morti che vivi:

Come Antoine Leiris che, pur avendo perso Hélène al Bataclan, aveva trovato la forza di scrivere — in una lettera aperta ai terroristi: «voi non avrete il mio odio»
O come Madonna che, con le lacrime agli occhi, dal silenzio commosso e irreale creato nel mezzo del suo concerto, aveva trovato il coraggio di pronunciare queste parole illuse e sciocche, sempre vanificate e insultate  da millenni e milleni di storia umana:
«solo l’amore potrà cambiare il mondo».